Valbrona sorge proprio ai piedi del gruppo dei Corni e numerosissimi sono i sentieri che partono dalle nostre frazioni per giungervi in cima. Il rifugio S.E.V. alla sommità è del resto proprio territorio valbronese. I Corni sono il naturale sfondo del versante orientale del paese. Pur essendo esattamente al confine tra i due paesi, sono conosciuti come Corni di Canzo sembra perchè solo da Canzo sono visibili le due cime a forma di “corni”, mentre salendo a Valbrona cambia l’asse prospettico e sembra che il corno sia uno solo, perchè le cime si nascondono una dietro l’altra.
Il gruppo dei Corni di Canzo è una delle zone più conosciute per la bellezza dei panorami, per la natura ancora ben conservata e per i numerosi sentieri adatti a soddisfare tutti, dalle famiglie con bambini agli escursionisti esperti. Sono tre cime rocciose dall’aspetto arrotondato disposte da est a ovest, tali da sembrare dei “corni”, ben visibili dalla Brianza, dal lungolago di Menaggio, fino all’alto Lago di Como: il Corno Occidentale (1372 m.), il Corno Centrale (1366 m.) ed il Corno Orientale (1232 m.). Sono i rilievi più elevati della costiera che separa il corso del Lambro dal ramo lecchese del Lario; i primi due delimitano la testata settentrionale della Val Ravella e costituiscono il confine fra il Comune di Canzo e quello di Valbrona, mentre la terza cima, la più bassa, è compresa nel territorio di Valmadrera. L’area dei Corni di Canzo è caratterizzata da rocce sedimentarie carbonatiche formatesi in ambienti lagunari e marini nell’Era Mesozoica (in particolare la Dolomia a Conchodon), deformate da vistose pieghe con andamento est-ovest in seguito ai movimenti orogenetici che hanno portato al sollevamento delle Alpi e modellate nel tempo dagli agenti atmosferici.
Rifugi
• Il rifugio SEV (Società Escursionisti Valmadreresi) è situato sul versante nord del Corno centrale a 1.225 m. s.l.m. Si raggiunge, da Valbrona, con una comoda stradina asfaltata che essendo di proprietà privata, è quasi sempre chiusa da una sbarra di ferro per impedire il passaggio di automobili.
• Il rifugio Terz’Alpe, di proprietà dell’Azienda Regionale delle Foreste ma adibito ad agriturismo, è situato in val Ravella, lungo il sentiero che proviene da Canzo e che porta ai Corni.
La leggenda dei Corni
Ci sono stati tempi lontanissimi in cui gli Arcangeli facevano guerra ai Diavoli e le due opposte schiere erano fittissime, così che non c’era pace in nessun angolo del cielo e della terra; dall’una e d’altra parte si combatteva e si picchiava.
Da quaranta giorni era tutto un turbinare d’ali bianche e nere, di spade fiammeggianti e di palle di fuoco, parolacce e scherzi umilianti; né si veniva a capo di nulla.
Gli Arcangeli, furenti come non erano mai stati in grazia della loro natura angelica, decisero di porre fine alla lotta con uno scherzo malvagio o una fregatura solenne, insomma con un’estrema soluzione per sconfiggere Canzio generale dei Diavoli e tutta la sua diavoleria.
Era Canzio un essere gigantesco e cattivissimo, con orribili corna sulla testa, grande come l’attuale Pian d’Erba; quando apriva la bocca era come se si spalancasse una voragine e quando bestemmiava era come se mille tuoni rombassero tutti insieme.
Della delicata questione fu incaricato un Arcangelo che anche lui un “ciappino dell’altro mondo” quanto a furberia e che colse l’occasione di domenica, all’alba. Innanzitutto la domenica è già un giorno gramo per i diavoli, poi suonano le campane della Messa solenne, inoltre i villani tirati a lucido si riuniscono per cantare inni al Signore.
Come se non fosse sufficiente tutto ciò, il gran Canzio non stava affatto bene: aveva due denti infiammati e bestemmiava come un turco a causa di un callo, che gli faceva vedere le stelle e lo costringeva a stare carponi. In quei tempi, come ognuno sa, non si portavano brache e da qualunque punto del cielo erano visibili i giganteschi emisferi sotto la coda, sollevata e attorcigliata per il dolore.
Vide questo l’Arcangelo e preso un pugno di grani di pepe primordiale, li infilò veloce nel sottocoda di Canzio. Questi per il bruciore intollerabile che sentiva, girò la testa e non fece in tempo a dire nemmeno “porca miseria”, che l’Arcangelo gli soffiò in faccia polvere di elleboro, massimamente starnutoria, attraverso una cannuccia. Il gran diavolo non riuscì a reprimere un colossale starnuto, così potente che la sua testa andò a conficcarsi in terra, staccandosi di netto le corna dalla fronte nel tentativo di svellerle; il cozzo rese instabile la protesi e alcuni denti finti gli uscirono di bocca, fissandosi qua e là nel terreno.
Della sua schiera alcuni dissero “salute” e uno disse “crepa”: si trattava di un grosso Diavolo di nome Piombo. Canzio furibondo, a pedate potenti lo sprofondò fino al centro del mondo, poi dette l’ordine di ritirata. Neppure questa fu eroica: doveva andar piano, claudicante per via del callo e per il bruciore al sottocoda e come piangeva di rabbia! Tanto da riempire di lacrime le sue gigantesche orme… così va il mondo!
Gli Arcangeli, a cui si unirono i Serafini e i Cherubini, levando grida di gioia e di clamore, chiesero a Dio di unirsi a loro e dare un segno della propria soddisfazione. Dio Onnipotente volle che le corna di Canzio e i suoi denti fossero mutati in pietre e prendessero forma di monti col nome di “Corni di Canzo”, delle “Grigne” e del “Resegone”.
Poi dette ordine che il baratro aperto dal luogotenente Piombo sì chiamasse “Buco del Piombo”; che le lacrime dessero origine a un fiume perenne, da chiamarsi “Lambro”; che le impronte colme di liquido incolore diventassero azzurri laghi e che quella regione, teatro di tante lotte e ora dolce e bellissima, si chiamasse “Brianza”.
Il testo di questa curiosa leggenda è stato pubblicato per la prima volta sulla rivista “Amici della Brianza” nel 1961.