menù

Aperitivo di Benvenuto

Cruditè di Mare: Ostriche, Riccio di Mare, Salmone, Tonno

Sautè di Frutti di Mare

Insalata Calda di Polipo e Patate

Lasagnetta con Salmone e Zucchine

Paccheri All’Astice

Trancio di Ricciola Gratinato alle Mandorle

Involtini di Pesce Spada Con Spinaci Croccanti e Uva Passa

Cotechino con Lenticchie

Torta della Casa

Vini Bianchi e Rossi dell’Az. Agr. Cascina del Pozzo

Prosecco della Marca trevigiana d.o.c.

ACCOMPAGNAMENTO MUSICALE DAL VIVO

Prezzo € 70,00 a persona

È gradita la prenotazione

Ore 12,30

Menù

INSALATA DI POLIPO ALLA GENOVESE
INVOLTINO DI BRESAOLA E ROBIOLA

RAVIOLI DI CAPESANTE E ASPARAGI CON CREMA ALLO ZAFFERANO
TORTELLINI IN BRODO DI CAPPONE

CAPPONE CON PUREE’
INVOLTINI DI ROMBO CHIODATO E SALMONE, CON SFORMATO DI VERDURE

TRONCHETTO DI NATALE
PANETTONE E SPUMANTE DELLA TRADIZIONE

VINO ROSSO DOLCETTO d.o.c.  Az. Ag. Cascina del Pozzo
VINO BIANCO ROERO ARNEIS d.o.c. Az. Ag. Cascina del Pozzo
Spumante Metodo Classico DECIMO Brut Az. Ag. Cascina del Pozzo

Prezzo € 60,00 a persona

E’ gradita la prenotazione

Aperitivo di Benvenuto

Carpaccio di Speck e Prugne,
Arborelle del Nostro Lago in Carpione,
Alici Marinate con Ribes e Pepe Rosa,
Cocktail di Gamberi e Avogado

Risotto ai Petali di Rosa e Persico

Ravioli di Manzo Brasato Al Burro di Castelmagno E Riduzione di Amarone

Salmone Selvatico con Gambero Rosso Cotto a Vapore su Purea di Piselli

Petto d’Anatra alle Erbe Aromatiche Con Tortino di Patate Viola e Fonduta di Casera

Torta dello Chef

€ 60,00 a persona – E’ gradita la Prenotazione

Albergo Ristorante Sala
Via Vittorio Veneto, 21. Valbrona
Tel. 031 661023

info@albergosala.com

Taglierissimo di affettati, formaggi e marmellate

Gran grigliata mista con patate al forno e insalata mista (controfiletto di manzo, salsiccia, coppa, costine, bistecchina di agnello)

Birramisù

35,00 a persona, è gradita la prenotazione

Scrutiamo il cielo in compagnia,
dalla nostra splendida terrazza,
cercando le mitiche stelle cadenti

Albergo Ristorante Sala
Via Vittorio Veneto, 21. Valbrona
Tel. 031 661023

info@albergosala.com

Valbrona è un comune costituito da 4 diverse frazioni che originariamente furono indipendenti: Osigo, Maisano, Candalino e Visino.
Le prime tracce su cui è possibile fondare la storia di Valbrona risalgono al XV secolo.
A quell’epoca il territorio di Valbrona e di Visino costituiva due comuni distinti, che rimasero tali sino al 1927. Le loro singole vicende sono però pressoché sovrapponibili, per cui d’ora in avanti ciò che si dirà a proposito del primo va ritenuto valido anche per il secondo.
Valbrona apparteneva alla comunità generale della Vallassina, nel ducato di Milano.
Nel 1441 la Valle fu concessa in feudo dal duca di Milano Filippo Maria Visconti ai conti Dal Verme.
Nel 1469 fu infeudata a Tommaso Tebaldi di Bologna e successivamente (1533) al senatore Francesco Sfondrati. Rimase sotto il dominio di questa famiglia per diversi secoli.
Verso la metà del ‘600 le tre frazioni: Maisano, Osigo e Candalino che, avevano ormai raggiunto oltre il migliaio di abitanti, si concordarono per formare il loro Comune e la loro Parrocchia. Fu scelta la zona mediana per costruire la Chiesa con linee architettoniche armoniose ed equilibrate, edificata con il contributo di sacrifici e lavoro degli abitanti delle tre frazioni, dato che, non esistendo ancora viabilità carraia, i materiali venivano trasportati a soma o a traino. Nei giorni festivi la gente contribuiva, chi al trasporto, chi alla edificazione della Chiesa e della canonica. Nella zona terrena della canonica, si installarono gli uffici del Comune di Valbrona e prima, sotto la Chiesa, poi sotto il sagrato, infine ad un centinaio di metri, venne costruito il cimitero.
Nel 1751 il comune infatti era controllato dal “conte delle Riviera” Carlo Sfondrati. In seguito alla sua morte avvenuta senza eredi nel 1788, i suoi possedimenti furono assorbiti dalla regia Camera. In questo periodo, per quel che concerne l’amministrazione, il comune era sottoposto alla giurisdizione di un podestà che risiedeva ad Asso. Erano eletti tre deputati con scadenza triennale, coadiuvati da un cancelliere a cui spettava la custodia delle pubbliche scritture.
Un esattore era incaricato della riscossione del pagamento delle spese. In seguito all’Editto del 10/05/1757, che determinava il nuovo compartimento territoriale dello Stato di Milano, i due comuni vennero inseriti tra le comunità della Vallassina, nel territorio del ducato di Milano. Con l’avvento degli Austriaci e la nuova divisione in province, vennero inseriti nella provincia di Como.
Con l’avvento della Repubblica Cisalpina e del nuovo assetto territoriale i comuni divennero parte del Dipartimento della Montagna, Distretto dell’alto Lambro e successivamente (1801) nel dipartimento del Lario. Sei anni dopo i comuni furono aggregati a quello di Asso mentre, nel 1812, Valbrona fu unita al comune di Onno mentre per Visino la situazione rimase immutata.
In seguito alla nuova divisione territoriale del Regno Lombardo-Veneto, Valbrona fu ricostituita come comune a sé ed inserita nella provincia di Como, Distretto di Canzo. Con l’unione delle province lombarde durante il regno di Sardegna (23/10/1859), i due comuni furono inclusi nel mandamento di Canzo, circondario III di Lecco, provincia di Como.
Con la successiva unità d’Italia, in base alla legge sull’ordinamento comunale del 1865, i comuni erano amministrati da un sindaco, coadiuvato da una giunta e da un consiglio. In seguito alla riforma dell’ordinamento comunale avvenuta nel 1926, l’amministrazione passò al podestà, per ritornare poi alla forma precedente con l’avvento delle repubblica.

Valbrona sorge proprio ai piedi del gruppo dei Corni e numerosissimi sono i sentieri che partono dalle nostre frazioni per giungervi in cima. Il rifugio S.E.V. alla sommità è del resto proprio territorio valbronese. I Corni sono il naturale sfondo del versante orientale del paese. Pur essendo esattamente al confine tra i due paesi, sono conosciuti come Corni di Canzo sembra perchè solo da Canzo sono visibili le due cime a forma di “corni”, mentre salendo a Valbrona cambia l’asse prospettico e sembra che il corno sia uno solo, perchè le cime si nascondono una dietro l’altra.
Il gruppo dei Corni di Canzo è una delle zone più conosciute per la bellezza dei panorami, per la natura ancora ben conservata e per i numerosi sentieri adatti a soddisfare tutti, dalle famiglie con bambini agli escursionisti esperti. Sono tre cime rocciose dall’aspetto arrotondato disposte da est a ovest, tali da sembrare dei “corni”, ben visibili dalla Brianza, dal lungolago di Menaggio, fino all’alto Lago di Como: il Corno Occidentale (1372 m.), il Corno Centrale (1366 m.) ed il Corno Orientale (1232 m.). Sono i rilievi più elevati della costiera che separa il corso del Lambro dal ramo lecchese del Lario; i primi due delimitano la testata settentrionale della Val Ravella e costituiscono il confine fra il Comune di Canzo e quello di Valbrona, mentre la terza cima, la più bassa, è compresa nel territorio di Valmadrera. L’area dei Corni di Canzo è caratterizzata da rocce sedimentarie carbonatiche formatesi in ambienti lagunari e marini nell’Era Mesozoica (in particolare la Dolomia a Conchodon), deformate da vistose pieghe con andamento est-ovest in seguito ai movimenti orogenetici che hanno portato al sollevamento delle Alpi e modellate nel tempo dagli agenti atmosferici.

Rifugi

• Il rifugio SEV (Società Escursionisti Valmadreresi) è situato sul versante nord del Corno centrale a 1.225 m. s.l.m. Si raggiunge, da Valbrona, con una comoda stradina asfaltata che essendo di proprietà privata, è quasi sempre chiusa da una sbarra di ferro per impedire il passaggio di automobili.
• Il rifugio Terz’Alpe, di proprietà dell’Azienda Regionale delle Foreste ma adibito ad agriturismo, è situato in val Ravella, lungo il sentiero che proviene da Canzo e che porta ai Corni.

La leggenda dei Corni

Ci sono stati tempi lontanissimi in cui gli Arcangeli facevano guerra ai Diavoli e le due opposte schiere erano fittissime, così che non c’era pace in nessun angolo del cielo e della terra; dall’una e d’altra parte si combatteva e si picchiava.
Da quaranta giorni era tutto un turbinare d’ali bianche e nere, di spade fiammeggianti e di palle di fuoco, parolacce e scherzi umilianti; né si veniva a capo di nulla.
Gli Arcangeli, furenti come non erano mai stati in grazia della loro natura angelica, decisero di porre fine alla lotta con uno scherzo malvagio o una fregatura solenne, insomma con un’estrema soluzione per sconfiggere Canzio generale dei Diavoli e tutta la sua diavoleria.
Era Canzio un essere gigantesco e cattivissimo, con orribili corna sulla testa, grande come l’attuale Pian d’Erba; quando apriva la bocca era come se si spalancasse una voragine e quando bestemmiava era come se mille tuoni rombassero tutti insieme.
Della delicata questione fu incaricato un Arcangelo che anche lui un “ciappino dell’altro mondo” quanto a furberia e che colse l’occasione di domenica, all’alba. Innanzitutto la domenica è già un giorno gramo per i diavoli, poi suonano le campane della Messa solenne, inoltre i villani tirati a lucido si riuniscono per cantare inni al Signore.
Come se non fosse sufficiente tutto ciò, il gran Canzio non stava affatto bene: aveva due denti infiammati e bestemmiava come un turco a causa di un callo, che gli faceva vedere le stelle e lo costringeva a stare carponi. In quei tempi, come ognuno sa, non si portavano brache e da qualunque punto del cielo erano visibili i giganteschi emisferi sotto la coda, sollevata e attorcigliata per il dolore.
Vide questo l’Arcangelo e preso un pugno di grani di pepe primordiale, li infilò veloce nel sottocoda di Canzio. Questi per il bruciore intollerabile che sentiva, girò la testa e non fece in tempo a dire nemmeno “porca miseria”, che l’Arcangelo gli soffiò in faccia polvere di elleboro, massimamente starnutoria, attraverso una cannuccia. Il gran diavolo non riuscì a reprimere un colossale starnuto, così potente che la sua testa andò a conficcarsi in terra, staccandosi di netto le corna dalla fronte nel tentativo di svellerle; il cozzo rese instabile la protesi e alcuni denti finti gli uscirono di bocca, fissandosi qua e là nel terreno.
Della sua schiera alcuni dissero “salute” e uno disse “crepa”: si trattava di un grosso Diavolo di nome Piombo. Canzio furibondo, a pedate potenti lo sprofondò fino al centro del mondo, poi dette l’ordine di ritirata. Neppure questa fu eroica: doveva andar piano, claudicante per via del callo e per il bruciore al sottocoda e come piangeva di rabbia! Tanto da riempire di lacrime le sue gigantesche orme… così va il mondo!
Gli Arcangeli, a cui si unirono i Serafini e i Cherubini, levando grida di gioia e di clamore, chiesero a Dio di unirsi a loro e dare un segno della propria soddisfazione. Dio Onnipotente volle che le corna di Canzio e i suoi denti fossero mutati in pietre e prendessero forma di monti col nome di “Corni di Canzo”, delle “Grigne” e del “Resegone”.
Poi dette ordine che il baratro aperto dal luogotenente Piombo sì chiamasse “Buco del Piombo”; che le lacrime dessero origine a un fiume perenne, da chiamarsi “Lambro”; che le impronte colme di liquido incolore diventassero azzurri laghi e che quella regione, teatro di tante lotte e ora dolce e bellissima, si chiamasse “Brianza”.
Il testo di questa curiosa leggenda è stato pubblicato per la prima volta sulla rivista “Amici della Brianza” nel 1961.